Quantcast
Channel: Juan Carlos De Martin
Viewing all articles
Browse latest Browse all 53

LA SFIDA GEOPOLITICA (dal libro "Università futura")

$
0
0
Nel dicembre 1991 finiva l’esperienza dell’Unione Sovietica. Dopo quasi cinquant’anni terminava, dunque, la contrapposizione tra due superpotenze, gli USA e l’URSS, che si erano divise il mondo in zone di influenza ispirate a sistemi economico politici contrapposti: democrazia liberale e capitalismo da una parte, socialismo reale dall’altra.

Il ventesimo secolo, noto come il “secolo americano”, si chiudeva con una schiacciante vittoria degli Stati Uniti contro il nemico storico e il mondo entrava quindi in una nuova fase, dominata da un’unica superpotenza e sostanzialmente da un unico modello economico.

Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica e della relativa zona di influenza, centinaia di milioni di lavoratori entravano nel mercato del lavoro globale, decine di paesi si aprivano sia per ricevere prodotti dall’estero sia per esportare merci e materie prime, il tutto all’insegna di una globalizzazione sempre più spinta, soprattutto in ambito finanziario.

Proprio mentre l’Unione Sovietica si disintegrava, diventava macroscopicamente evidente un altro processo di enorme importanza, ovvero il decollo economico della Cina. A partire dalle riforme introdotte da Deng Xiao Ping nel 1978, nell’arco di trent’anni la Cina si era trasformata da paese prevalentemente agricolo a fabbrica del mondo. L’intensa crescita economica – che dal 1992 al 2016 oscilla tra il 6% e il 15% – inevitabilmente solleva la questione della sua crescente potenza. Una potenza che si proietta soprattutto economicamente – con un numero maggiore di accordi bilaterali soprattutto in Africa e in America Latina – ma che inevitabilmente inizia ad assumere anche una dimensione politica e militare. Con la crescita della Cina – e, in misura minore, di Brasile, Russia, India e Sud Africa, i cosiddetti BRICS – si inizia anche a parlare di possibile fine del “secolo americano” e, comunque, di declino americano. Anche chi ritiene che l’egemonia statunitense durerà probabilmente ancora numerosi decenni, come Joseph Nye nel suo recente libro Fine del secolo americano?, non può però non porsi il problema di quale sarà il nuovo assetto mondiale a regime. Andiamo forse verso alcune grandi zone di influenza in concorrenza tra di loro per le risorse del pianeta, un mondo multipolare? O la Cina alla lunga emergerà effettivamente come nuova superpotenza al posto degli Stati Uniti? Negli ultimi cento anni, ogni cambio di assetto a livello mondiale ha prodotto devastanti guerre mondiali: questa volta riusciremo a evitare traumi di quella magnitudo? Che cosa si può fare concretamente – a vari livelli – per mitigare il rischio che scoppi una guerra per l’egemonia mondiale?

Per l’Europa la situazione è particolarmente difficile. Non solo per la crisi sempre più evidente dell’Unione Europea – scossa dalle fondamenta dalle contraddizioni dell’euro, dalle conseguenze del referendum sulla Brexit del Regno Unito, dalla crisi dei migranti – ma anche per la situazione ai suoi confini. Dall’Ucraina a est alla Libia a sud, passando per il Medio Oriente, l’Europa confina con guerre civili più o meno aperte (Ucraina), autoritarismi (Turchia), guerre spaventose (Siria), conflitti storici ormai incancreniti (Israele-Palestina), dittature (Egitto) e Stati falliti (Libia). Cinquemila chilometri di conflitti con alle spalle una seconda cerchia di situazioni di crisi – Mali, Sudan, Etiopia, Eritrea, Somalia, Yemen, Arabia Saudita, Iran, Afghanistan, Pakistan – tutte terre da cui partono i disperati che provano a raggiungere l’Europa con ogni mezzo.

Il tutto nel contesto di una rinnovata tensione tra Stati Uniti e la Russia di Putin. Dimenticato, infatti, il disgelo di inizio secolo, quando Putin incontrava George W. Bush nel suo ranch e si parlava persino di un possibile ingresso della Russia nella NATO, ora la Russia è tornata a essere – se non il nemico dei tempi della guerra fredda – certamente un avversario importante105. L’Europa, e in particolare la Germania (ma con un ruolo non trascurabile anche dell’Italia), dopo essere stata tentata da un asse politico commerciale che, includendo la Russia, poteva arrivare fin sulle sponde del mar del Giappone (magari comprendendo, a certe condizioni, anche la Cina), si scontra ora – come non era difficile aspettarsi106 – contro un nuovo Muro, collocato mille chilometri più a Est di quello di Berlino (nonostante le rassicurazioni americane che ciò non sarebbe mai successo107), rafforzato dalle sanzioni contro la Russia per la vicenda Ucraina e da un progressivo riarmamento della NATO. Il risultato è stato finora un rimbalzo sull’Atlantico, un consolidarsi dell’integrazione tra Stati Uniti ed Europa108 che sembra prefigurare una delle zolle geopolitiche verso cui pare avviarsi l’organizzazione del mondo sotto la spinta congiunta di forze politiche, militari, economiche, culturali, climatiche e demografiche, anche se la recente elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti apre una fase di grande imprevedibilità.

Infine ci sono le tensioni che attraversano i paesi a prevalenza musulmana, in particolare nel Nord Africa e nel Medio Oriente, situazioni complesse, caratterizzate da specificità nazionali molto forti, quindi difficili da ricondurre a un minimo comun denominatore che non sia, da una parte, l’ombra lunga del passato coloniale e, dall’altra, le ancora forti ingerenze dei paesi occidentali, come evidenziato dal tragico caso della Libia. Tensioni che contribuiscono a creare un terreno favorevole a fenomeni come Al Qaeda e ISIS, con propaggini terroristiche anche sul suolo europeo.

In questo scenario – è importante rimarcarlo – non c’è nulla di inevitabile. Ci sono certamente delle tendenze di fondo, dettate dalle forze in campo, dalla situazione socio economica e da chi è attualmente al potere nei principali paesi, ma nessun destino ineluttabile. La sfida geopolitica è, quindi, quella di immaginare e studiare i pro e i contro delle tendenze in atto e le alternative possibili, con l’obiettivo assolutamente primario di promuovere la pace.

Tratto da J.C. De Martin, "Università futura - tra democrazia e bit", Codice Edizioni, 2017, pp. 35-38 (nell'originale sono presenti le note al testo qui sopra riportato); il volume, oltre che regolarmente acquistabile, è anche scaricabile con licenza Creative Commons da questo sito.

Viewing all articles
Browse latest Browse all 53

Latest Images

Trending Articles